Il libro digitale, il mercato e la paura

Repubblica ha pubblicato un articolo molto interessante e un po' miope di Scott Turow (ripreso dal NYT - qui). Ho subito sentito il desiderio di scrivere le mie riflessioni su questo argomento, del quale mi sono già accupato, che lega cultura, diritto, economia e tecnologia. L'articolo di Turow è interessante, perché l'autore solleva una questione rilevante ed esprime un sentimento popolare, che comprendo bene, ma che a mio parere è abbastanza fuori luogo. È anche un po' miope, perché il filo logico del discorso è piuttosto debole e le soluzioni che implicitamente vengono suggerite al problema sollevato peggiorano la situazione e non appaiono percorribili nel lungo periodo se non imponendo un costo insostenibile alle persone, in termini economici, di libertà e di privacy. Non sto qui a discutere punto per punto l'articolo, che serve solo come spunto per la reflessione. Mi concentro quindi su alcuni punti sollevati in esso e comuni a molti discorsi sui libri digitali (ebook).



Mito 1 - Il libro digitale uccide l'editoria.

Primo, che un settore economico venga distrutto o cambiato da una innovazione tecnologia è normale, forse inevitabile e di solito è un bene, perché significa che il cambiamento ha portato ad un aumento di efficienza tale da non richiedere più l'esistenza di una produzione organizzata per certi prodotti che prima necessitavano di rilevanti costi (fissi). Un settore che esiste perché l'oggetto della sua produzione richiede elevati costi iniziali, è un settore che probabilmente presenta economie di scala, che ha buone probabilità di essere dominato da poche grandi imprese e di conseguenza ha maggiori probabilità di collusione e accordi tra imprese. Da un punto di vista tecnico, le grandi imprese sono in questo caso un bene per i consumatori perché saranno più efficienti potranno vendere a prezzi minori delle piccole (se non colluse), ma non per questo siamo nel migliore dei mondi o tale sistema di produzione va difeso a priori. Se una innovazione tecnologia abbassa drasticamente i costi iniziali e quindi crea una libertà in entrata sul mercato senza precedenti, o addirittura fa sì che ogni individuo possa produrre ciò che gli serve facendo a meno delle grandi imprese, allora semplicemente queste ultime non hanno più senso di esistere, e questo è un bene per la società che ottiene gli stessi beni a costi minori. Il lettore valuti in che misura questo assomigli al caso dell'editoria come industria per la stampa cartacea, spiazzata dalla possibilità tecnica di copiare un file a costo praticamente pari a zero. Nella misura in cui il paragone è corretto, sì, il libro digitale uccide parte dell'editoria, e questo è un bene.

Secondo, il paragone precedente non è del tutto corretto perché un libro cartaceo e un libro digitale non sono esattamente la stessa cosa. Sono senza dubbio molto sostituibili per alcune forme di lettura (per es. romanzi di consumo), ma non lo sono affato per altre (libri da collezione, manuali, libri a cui teniamo particolarmente e chi ci piace avere fisicamente). Quindi è improbabile che l'editoria, intesa come stampa, sia destinata a morire del tutto. Che debba ridimensionarsi e riformarsi è probabile, ma non ne vedo il problema dal punto di vista sociale. Certo gli editori che ora controllano il mercato se la piglieranno a male, ma il resto del mondo ha solo da guadagnare.

L'immagine cho ho in mente è quella di un mondo in cui i file circolino liberamente e siano liberamente copiabili e traferibili senza restrizioni. L'autore dell'opera ha certamente il diritto di venire riconosciuto tale, ma non ha alcun diritto naturale di controllare il modo in cui la sua opera circola, viene riprodotta, modificata ecc. E tantomeno ha diritti sulle copie della sua opera. Non vedo altri diritti naturali se non quelli di paternità dell'opera nella sua specifica forma, e al massimo il diritto di essere citato se altri autori modificano l'opera originale; mentre in capo a questi ultimi vedrei bene il dovere di dichiarare che la loro opera è una modifica di un'altra. Notare che è verosimile che questi diritti siano tanto più protetti quanto maggiore è la circolazione e la conoscenza delle opere, perché è più probabile che vi sia qualcuno che faccia notare eventuali violazioni. Andando questo contro la reputazione di chi ha commesso tali violazioni, ed essendo il danno di reputazione anch'esso tanto maggiore quanto maggiore è la circolazione dell'opera, quest'ultimo sembra anche essere un buon deterrente, specialmente per le opere di successo.

Nella mia visione, gli autori scrivono le loro opere e creano autonomanente e a costo quasi zero delle versioni digitali in vari formati (cosa già fattibile), dopo di che sono liberi di scegliere come diffondere la loro opera. Possono renderla disponibile in rete direttamente tramite un loro sito (alcuni già lo fanno) o, nel caso necessitino di maggiore visibilità, possono diffondere la loro opera tramite un intermediario noto. Immagino questo intermediario come un accentratore di contenuti, un sito, sul quale gli autori possono caricare le loro opere e decidere un prezzo (senza commissioni). Questo intermediario offrre poi dei servizi aggiuntivi gratis e a pagamento. Gratis, vì è sicuramente la facilità di ricerca e l'indicizzazione delle opere, la possibilità di leggere i commenti degli altri utenti ed avere statistiche su apprezzamenti, scaricamenti ecc. A pagamento la stampa cartcacea dell'opera (anche di opere caricate dall'utente), magari con diverse possibilità di personalizzare copertina e impaginazione laddove possibile; oppure l'acquisto di copie cartacee usate ecc. Inoltre, l'intermediario potrebbe predisporre una sezione "garantita" dove distribuire opere precedentemente controllate, magari da esperti, e consigliate dall'editore stesso, e poiché questa operazione ha veramente un costo, qui l'intermediario dovrebbe farsi pagare per tale "marchio" di qualità, magari in questo caso prevedendo una commissione sul prezzo di vendita.

Ecco quindi il nuovo ruolo dell'editoria, quello di intermediario inteso come accentratore di contenuti ed eventualmente come garante del loro livello qualitativo e di fornitore di servizi aggiuntivi collegati alla fruizione dell'opera, come la stampa.
Ora qualcuno si domanderà:
a) perché qualcuno dovrebbe comprare, anche a un prezzo basso, un'opera da un sito se dopo che questa è scaricata la prima volta gli utenti possono copiare e distribuirsi il file a piacimento?
b) che vantaggio hanno gli autori? Non si rischia di deprimere la produzione culturale?
Nei punti seguenti cerco di offrire la mia risposta anche a queste domande.

Mito 2 - Bisogna aumentare la protezione del copyright o editoria e cultura saranno danneggiate.

Aumentare l'ambito di applicazione del copyright significa rendere meno facile la diffusione e la circolazione delle opere. Non si capisce in che modo avere meno lettori sia utile a uno scrittore. Come lettore mi rattrista pensare che uno scrittore preferisca avere meno lettori, purché egli sia in grado di controllare cosa questi fanno con le loro copie dell'opera e gli diano qualche soldo in più. Da un punto di vista generale poi non si capisce come, al contrario, la maggiore circolazione delle opere possa danneggiare la cultura, anziché stimolarla. Un autore ha il merito indiscusso di aver creato un'opera originale nei contenuti, nella forma o in entrambi. Produrre l'opera ha un costo sia fisico che intellettuale, questo è ovvio. Ciò che non segue logicamente sono due cose:

i) prima di tutto, che questo costo debba essere remunerato del tutto, dato che per quanto ingente sia il costo creativo l'opera potrebbe non trovare un suo pubblico (o vogliamo sussidiare chiunque decida di creare qualcosa?). Con questo non voglio paragonare un'opera artistico-intellettuale ad un qualsiasi prodotto, al contrario sono coloro che domandano una remunerazione diretta per le opere che sviliscono il valore culturale di queste collocandole esplicitamente nel mercato. Un autore dovrebbe avere in mente la qualità dell'opera e non il pubblico; quanti capolavori sono stati prodotti senza una immediata e diretta remunerazione? Quante opere di serie C vengono prodotte ogni anno per il solo scopo di vendere più copie possibili per una stagione e poi scomparire?

 ii) In secondo luogo, non segue logicamente che la remunerazione debba derivare dal monopolio garantito dal diritto di controllare le copie dell'opera. Posso pagare un pittore per farmi un ritratto, ma perché poi questo dovrebbe continuare ad avere diritti sulle copie del ritratto? Non vi è alcun nesso. Nel momento in cui l'opera è prodotta, l'unico costo rilevante è il costo tecnico della copia e ogni copia aggiuntiva non toglie nulla alle copie precedenti ne all'opera originale, anzi ne aumenta il valore. Aumentare il copyright rischia di impoverire la cultura e di rendere le opere ancora più merci senza aiutare gli autori. Anche con l'attuale legislazione chi scrive non sa se e quanto guadagnerà, a meno che non lo faccia su commissione. Solo gli autori affermati possono crearsi un'aspettativa attendibile del valore di mercato delle loro opere e decidere di conseguenza se produrle o meno. Ma nella maggioranza dei casi chi scrive lo fa per passione e perché ha qualcosa da dire, senza avere idea di quanto possa valere ciò che andrà a produrre. Questo implica che anche qualora avessero valore nullo, molte opere sarebbero comunque prodotte, ed è proprio questo che le rende cultura, che le rende libere.

Pensare che la remunerazione degli autori debba venire a posteriori da un diritto di monopolio artificiale, significa premiare solo le opere che hanno un mercato e quindi incentivare la produzione per il mercato, cosa non necessariamente buona in ambito culturale; inoltre, non aumenta la produzione di quelle opere che sarebbero prodotte comunque, mentre ostacola la produzione e la diffusione delle opere, anche perché gli autori potranno permettersi meno libri da leggere dato che i libri costeranno di più. Il problema contemporaneo del copyright non è di trovare un bilanciamento tra il diritto al controllo degli autori, al fine di incentivare la produzione di opere, e quello del pubblico alla diffusione delle opere; come spesso si sente dire. Oggi il problema è di comprendere che l'esistenza del copyright impone un costo sociale a tutti, salvo i pochi eletti che stanno sfruttando la rendita di posizione garantita da un monopolio protetto dallo Stato (e solo raramente sono gli autori). E anche ammesso che il problema sia quello del bilanciamento dei diritti, resta la questione non trascurabile di come far rispettare il copyright senza ledere i diritti degli utenti ed imporre a questi costi eccessivamente alti.

Come si fa oggi a controllare che non vengano fatte e non circolino copie illegittime di un'opera? Non si può! Ed è per questo che è necessaria da parte dello Stato, che risponde agli interessi dei pochi organizzati gruppi di pressione, una lotta continua e progressivamente sempre più intrusiva e che comporta sempre maggiori sacrifici economici e in termini di diritti da parte dei consumatori. Come fai ad impredire che io faccia la copia di un file? Semplice, non mi metti in grado di leggere quel file se non tramite strumenti certificati (benvenuti nel mondo delle app, non più file e programmi che leggono file, ma app chiuse che non mi permettono di vedere esattamente dove e quali sono i file e cosa contengono), e quindi devi preoccuparti di creare dei sitemi di controllo; poi ti inventi che non stai vendendo il file o il libro ma il diritto di leggerlo; oppure inserisci nei file e negli apparecchi per leggerli dei sistemi che blocchino le copie (per es i DRM), oppure mi mantieni costantemente sotto controllo facendoti inviare informazioni su tutte le mie attività ecc. Queste sono tutte violazioni palesi dei diritti dei cittadini e che non avvengono, anche con le leggi attuali, per i libri cartacei, dato che non esistono libri leggibili solo da una certa persona o stampati con inchiostro speciale non fotocopiabile o che non si aprono se la persona non chiama prima l'editore per identificarsi.

Quindi, per rispondere alla domanda iniziale: è l'aumento del copyright che danneggerà più probabilmente la cultura, come la riduzione di quest'ultimo non andrà a danneggiare gli editori intelligenti e che sapranno rinnovarsi, ma solo quelli inefficienti che vivono sfruttando la loro posizione di monopolio. Ridurre e abolire il copyright, oggi, è il modo migliore per incentivare la produzione e la diffusione delle opere, ed è anche il modo migliore per selezionare gli editori migliori e più innovativi che davvero meritano i nostri soldi: per i servizi che offrono e non per il monopolio che gli garantiamo.

Mito 3 - Il libro digitale e il mercato dell'usato (digitale e cartaceo) sono male per gli autori e la cultura.

E veniamo al perché qualcuno dovrebbe voler pagare per un'opera che, dal momento in cui è stata resa disponibile la prima volta, può essere copiata liberamente. Il motivo è semplice ed è lo stesso motivo per cui molti di noi comprano prodotti originali e non copie: perché sono originali, semplicemente. E anche se le copie fossero veramente identiche, molti continuerebbero a preferire l'originale. In più trovare tra le tante copie la più vicina all'originale, ha spesso un costo non trascurabile, tanto che si fa prima a comprare direttamente l'originale. Tornando al caso dei libri digitali, mettetici pure che se passano attraverso il sito di un editore, è probabile che questo fornisca tutto un insieme di servizi collegati ai quali vale certamente la pena accedere per qualche spicciolo in più: la copia originale con in più i servizi associati ad un prezzo basso e sapendo che i soldi del libro vanno tutti all'autore, mentre quelli dei servizi sono dell'editore, da un lato; dall'altro il tempo perso nella ricerca della copia migliore tra mille, senza nessun servizio, ma senza pagare. La tecnologia ci consente di copiare file a costo zero, questo è il migliore dei mondi, perche dovremmo regalare i nostri soldi ad aziende che non fanno nulla, anziché eventualmente darli direttamente agli autori o a quegli imprenditori che saranno in grado di renderci un servizio.

Infine, passiamo all'idea dell'usato digitale. Non ne comprendo il senso. È come se, in ambito culinario, aprissimo un mercato per le ricette usate. Badate, non per i i fogli con su scritte le ricette (che sono oggetti), ma per le ricette in sè (un elenco di istruzioni, come i file). Ho la ricetta della carbonara, però, dato che per una legge strana non posso cucinarla per entrambi nè dirti come si fa sennò tu crei la tua carbonara (e per mettere su il sistema che ti impedisce ciò ci abbiamo pure speso bei soldi, alcuni hanno anche un poliziotto in casa, e alcuni ragazzi di 14 anni sono finiti in galera), e ci sembra assurdo pagare un terzo per darti la ricetta quando potrei dartela direttamente io, allora si inventano che posso darti la ricetta a patto che io mi dimentichi come si fa (cancellare un file equivale a dimenticarsi le istruzioni contenute in quel file). C'è qualcosa di sbagliato in questo. Credo che non ci sia bisogno di commentare oltre che se impedire di copiare un file a costo zero è stupido, imporre artificialmente che se il file lo leggo io allora non lo puoi leggere tu e viceversa è completamente folle.


Ma in fondo, nel lungo periodo, il problema non si pone, perché il progresso tecnico creerà da solo il proprio mercato. Non si può costringere troppo a lungo la gente a pagare un prezzo alto per qualcosa che ha un costo basso. In fondo, non vi è nulla di nuovo. Quando i paesi erano protezionisti o autarchici, il commercio illegale avveniva ugualmente e tanto più dove i costi di trasporto erano bassi e i prezzi interni alti, a causa di monopoli ed inefficienze. Quello che si chiamava contrabbando, ora si chiama commercio internazionale ed ha generato e genera ricchezza per tutti. Quello che oggi si chiama pirateria, domani sarà libera circolazione delle idee. Benvengano i nuovi autori, una nuova ondata culturale ed i nuovi imprenditori dell'editoria.

Quindi, in fondo, probabilmente, sono uno di quelli richiamati da Turow:
Many people would say such changes are simply in the nature of markets, and see no problem if authors are left to write purely for the love of the game. But what sort of society would that be?

Credo ora di poter rispondere. Gli scrittori, quelli veri, hanno sempre e sempre scriveranno per il piacere di farlo. Perché è così che deve essere e perché per soldi non si crea cultura, ma si producono merci. I soldi per la cultura ci vogliono, ma questi non sono il suo fine; la produzione culturale non avviene a pagamento, ma è il frutto spontaneo di una società ricca di idee. Quindi, che società sarebbe senza il copyright? Una società più ricca, con più idee e magari con qualche persona in meno che campa di rendita.



Riferimenti utili:
http://www.repubblica.it/tecnologia/2013/04/02/news/ebook_usati-55770740/
http://en.wikipedia.org/wiki/Hugh_Howey
http://paidcontent.org/2013/04/08/no-scott-turow-copyright-is-not-killing-american-authors/
http://www.bloomberg.com/news/2013-02-01/piracy-and-fraud-propelled-the-u-s-industrial-revolution.html
http://pennyebook.blogspot.it/2013/04/ebook-usati-si-riaccende-la-polemica.html


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