Domande sul PIL

Alcuni spunti di riflessione sul PIL e risposte ad alcune domande emerse nell'ambito di alcune mie lezioni.


1) Beni intermedi, beni finali e servizi.
Abbiamo visto che il PIL rappresenta, tra le altre cose, il valore dei beni e servizi prodotti.
Se vi ricordate nel nostro incontro vi ho fatto un esempio di creazione di valore aggiunto.
L'esempio aveva il duplice scopo di illustrare come il PIL sia al tempo stesso il valore dei beni e servizi finali e la somma dei valori aggiunti.
Inoltre l'esempio illustrava la ragione per cui non dobbiamo sommare al valore dei beni e servizi finali anche il valore di quelli intermedi: il valore di questi ultimi è già incluso nel valore dei beni e servizi finali; se li sommassimo, staremmo contando due volte gli intermedi.
Quindi alla domanda di alcuni, i quali si chiedevano se e perché un servizio erogato alle aziende non rientri nel PIL, rispondo che il valore del servizio rientra pienamente del PIL in quanto incluso nel valore dei beni finali (cioè destinati al consumo delle famiglie).

2) Immobili residenziali.
Considerate il seguente esempio, proposto da uno studente:
Ipotizziamo che nel 2008 ho acquistato un immobile di nuova costruzione per un importo pari a 100.000 euro e che questo abbia negli anni successivi un incremento di valore del 10% e quindi:
• 2009 110.000 euro
• 2010 121.000 euro
• 2011 133.100 euro
A fine 2011 decido di vendere l’immobile per una cifra pari al suo valore (133.100 euro) ed affido la gestione della trattativa ad un’agenzia immobiliare che chiede un compenso pari al 5% del prezzo di vendita all’acquirente (6655euro). La vendita è finalizzata ad inizio 2012.
Quali sono le variazioni del PIL?

Per rispondere bisogna tenere a mente che quello che ci interessa misurare è il valore della produzione finale.
Quindi nel 2008 tutto il valore del nuovo immobile rientra in ciò che è stato prodotto.
Tutti i 100.000 euro fanno parte del PIL del 2008.
Come abbiamo visto la convenzione è di considerare gli immobili resindenziali come investimenti privati.
Ogni successiva compravendita dell'immobile non avviene a fronte della produzione di nuovi beni e servizi, ma sarà solo un trasferimento da un soggetto a un altro, per cui non influisce di per se sul PIL. Ciò ha perfettamente senso se con il PIL vogliamo misurare il valore della produzione, i redditi generati, il valore aggiunto. Ogni compravendita di un bene usato o prodotto in periodi precedenti rappresenta solo un passaggio di proprietà a fronte del quale vi sarà un trasferimento di attività finanziarie; non si produce nulla di nuovo, non si aggiunge valore; cambia chiaramente l'allocazione delle risorse (in meglio o in peggio non è qualcosa che riguarda il PIL, ma è certamente un dato interessante).
Fa eccezione chiaramente il servizio di intermediazione fornito dall'agenzia, in quel caso il servizio è effettivamente prodotto nell'anno in cui avviene.
Resta da valutare l'eventuale plusvalenza dovuta alla variazione di prezzo dell'immobile, oltre anche all'eventuale ammortamento.
Sulla valutazione delle plusvalenze non so essere molto preciso, ma direi che il fatto che un bene prodotto in periodi precedenti subisca variazioni di prezzo non è rilevante per il calcolo del PIL corrente: non si è verificata nessuna produzione.

3) Come misuriamo la felicità?
Molti di voi, a ragione, si sono posti questa domanda. Qualcuno per es. nota che Messico e Venezuela risultavano avere un alto livello di felicità nel 2008. Che significa?
Innanzitutto, poichè esistono diversi indicatori simili di felicità, qualità della vita, benessere ecc. bisognerebbe andare a vedere caso per caso come è misurato il particolare indicatore che ci interessa.
Di solito, poichè questi indicatori sono nati per uno scopo diverso rispetto a quello per cui è stato creato il PIL, e in parte sono stati creati per dare un'informazione che il PIl non coglie direttamente, questi nuovi indicatori non si basano, se non in qualche caso e comunque solo in parte, sul PIL stesso. Per es. nel caso degli indici di felicità in molti casi ci si basa su indagini campionarie nelle quali si intervistano le persone con domande di vario tipo volte a cogliere la loro valutazione soggettiva del livello di felicità. La questione è molto delicata da molti punti di vista poiché culture diverse possono portare a valutazioni soggettive diverse o la stessa domanda formulata nello stesso modo può essere interpretata in maniere diverse in culture diverse. Capite quindi che formulare indagini pienamente attendibili non è per niente banale. Anche se fossimo in grado di farlo, staremmo comunque valuntando qualcosa di soggettivo. La questione è quindi molto complessa. Sicuramente interessante e informativa, ma non senza problemi.

4) Distribuzione della ricchezza.
Discorso ampio. Innanzitutto, bisogna distinguere disuguaglianza in termini di ricchezza e in termini di reddito. Sono importanti entrambe, ma sono due cose diverse. Il PIL non ha nulla a che vedere con problemi di disuguaglianza e non è stato creato con questo scopo. Esistono altri indicatori.
Quale sia il livello ottimale di disuguaglianza è una questione senza soluzione, qualcuno dirà zero, qualcuno dirà che un po' di disuguaglianza ha effetti positivi a livello sociale e economico per svariate ragioni. L'unica cosa su cui credo si possa essere d'accordo è che troppa disuguaglianza sia un male. Ma quale sia il livello oltre il quale la disuguaglianza è troppo elevata non è ovvio.
Dall'industrializzazione a oggi, la qualità della vita, l'aspettativa di vita ecc. sono molto aumentate, mentre la probabilità di morire prematuramente e la percentuale di persone in povertà sono molto diminuite. In una prospettiva storica, fino all'industrializzazione le condizioni di vita sono rimaste sostanzialmente costanti e la disuguaglianza spesso molto elevata. Negli ultimi 20/30 anni la disuguaglianza, comunque misurata, a livello globale è molto diminuita, soprattutto grazie alla globalizzazione e allo sviluppo di Cina e India. C'è stato però un aumento di disuguaglianza all'interno dei singoli paesi. Sostanzialmente quello che è successo è che grandi fasce medie di popolazioni asiatiche sono uscite da condizioni pre-industriali e si sono arricchite rapidamente raggiungendo livelli poco sotto le classi medie dei paesi occidentali. Allo stesso tempo, nei paesi emergenti si sono creati nuovi super-ricchi e nei paesi occidentali i redditi dei più ricchi sono aumentati notevolmente più di quelli della classe media. In pratica, a livello globale la classe media dei paesi occidentali, che rimane comunque nella parte alta della distribuzione mondiale, è quella che ha visto la sua ricchezza crescere meno. Perché assistiamo a questo fenomeno e cosa possiamo fare è una questione su cui molti economisti, e non solo, fanno ricerca; resta il fatto che la ricchezza materiale e le condizioni di vita sono di fatto aumentate; la torta si è allargata. Quali politiche adottare per far sì che i benefici siano più equamente condivisi e soprattutto come evitare che errori politici nella gestione della distribuzione della ricchezza ci facciano tornare indietro, per esempio alimentando attriti sociali o portando alcuni a pensare che le cause della disuguaglianza siano le stesse che hanno fatto "crescere la torta", rimangono questioni aperte.

5) PIL, consumismo e capitalismo.
Qualcuno si interroga sulla relazione tra PIL, del quale i consumi rappresentano il 60% circa, e consumismo/capitalismo.
Domanda difficile e un po' sfuggente. Non ho una risposta, ma solo qualche spunto.
Quando parliamo di "teorie capitalistiche" io non so bene di cosa parliamo.
Forse ci riferiamo in generale al fatto che le economie dei paesi industrializzati sono tendenzialmente decentralizzate e i mercati hanno un ruolo rilevante?
Non mi è chiaro in che modo la creazione di una misura statistica, che sostanzialmente non fa altro che registrare un fenomeno, sia "funzionale alle teorie capitalistiche". E' vero che il PIL è considerato politicamente importante e molte decisioni di politica economica si basano su di esso, ma non perché ci piace il PIL in se stesso, piuttosto perché ci interessa il fenomeno che esso cerca di misurare, ovvero la quantità di beni e servizi prodotti. Si può discutere del fatto che stiamo utilizzando una misura imperfetta, cioè capire se stiamo cercando di curare un paziente utilizzando un termometro molto impreciso. Ma è ovvio che non ci interessa la temperatura misurata di per se, ma lo stato di salute del paziente (e quindi ben vengano misure complementari).
Il fatto che uno dei desiderata politici sia la crescita non ha nulla a che vedere con il PIL, ma con il fatto che in molti credono che produrre e poter consumare più beni e servizi a parità di risorse possa migliorare le condizioni materiali delle persone. Ciò non ha nulla a che vedere con il consumismo o con il capitalismo, a mio modo di vedere. Un'economia centralizzata potrebbe avere lo stesso identico obbiettivo, anche per questioni pace sociale; saranno semmai il modo in cui si organizza la produzione e la redistribuzione a variare.
Anche il fatto che i consumi privati siano circa il 60% del PIL non mi pare abbia relazioni particolari con consumismo e/o capitalismo. Nè mi sento di dire che le economie basate sul libero mercato siano necessariamente più consumistiche di altri tipi di economie. Anzi potremmo pensare di invertire le parti. Le misure keynesiane, da alcuni viste come poco fiduciose nel libero mercato, spesso consistono in aumenti dei consumi pubblici (nei casi estremi anche consumi pubblici del tutto inutili come pagare le persone per scavare buche e poi ricoprirle), per cui in questo senso una politica keynesiana sarebbe più "consumistica" del liberismo. Al contrario, i "liberisti" spesso attribuiscono un valore negativo ai consumi, mentre i risparmi sono considerati ciò che fa crescere l'economia tramite l'accumulazione di capitale, per cui consumare di più oggi può voler dire crescere di meno domani. Si pensi anche a cosa è accaduto nella recente crisi: i fautori più accesi dell'austerità, cioè riduzioni dei consumi privati e pubblici e risanamento dei conti, erano spesso liberisti. Se volete, in quest'ottica, i sostenitori del libero mercato sono anche quelli che vorrebbero ridurre i consumi; mentre quelli che credono nell'intervento dello Stato vorrebbero aumentarli.